Succede un fatto strano, da sempre: la televisione non la guarda nessuno, non piace a nessuno, infastidisce e rende stupidi, come la pubblicità. Però poi tutti sanno più o meno cosa è andato in onda il giorno prima, ciascuno riesce a dire la sua sui grandi temi che da sempre fanno discutere le masse e mobilitano l’opinione pubblica (il Festival di Sanremo, Grande Fratello, ecc.), anche se nessuno “guarda quella roba lì”.
Ci avete mai fatto caso?
Adesso, oltre al comune senso del pudore verso i programmi che molti guardano ma nessuno confessa, l’osservazione si spinge un po’ più in là, diciamo in un punto indefinito dove si studiano i contenuti e si concepiscono i supporti: più in breve, dietro le quinte.
Per come la concepiamo tradizionalmente (in soggiorno, con il centrino e il vasetto di fiori, il pubblico anziano e i divani di pelle), la televisione è un mezzo di comunicazione scarsamente dotato di fascino e appeal. Le grandi compagnie, però, che sviluppano la comunicazione e l’intrattenimento del domani, continuano a lavorare su dispositivi che permettono la fruizione televisiva nelle modalità più varie e disparate: sempre più portatile, sempre più frammentata, sempre più a disposizione e su richiesta.
Tim Vision, Amazon Prime, Now Tv, Netflix, sono i nomi che hanno presa e guardano al futuro; Sky ha il grande merito di traghettare il pubblico verso nuovi contenuti pur garantendo un’esperienza di visione a stampo classico (divano, amici, birra e junk food). Le reti generaliste tradizionali, invece, convivono con le proprie peculiarità che sono al tempo stesso croce e delizia: il target di età molto alta, i contenuti contraddittori che tradiscono la vocazione del servizio pubblico, l’affollamento degli spazi pubblicitari e le continue discussioni sulla ricerca della qualità…
Visto dalla giusta distanza, il quadro televisivo italiano è in grande fermento. Caotico, deregolamentato, controverso e convulso. Eppure, molto vivace.
Ma chi l’ha detto che la televisione non la guarda più nessuno?